venerdì, agosto 27, 2010

Copenaghen

Uno dei migliori libri sulla scienza che abbia mai letto, in grado di svelare il lato umano di due tra i più importanti uomini che hanno cambiato la visione del mondo che ci circonda nel corso del '900. Quest'opera teatrale restituisce a chi rimane all'esterno del mondo scientifico la dimensione del tormento, dell'ansia, delle paure che sono state affrontate dai fondatori della teoria atomica moderna nel momento in cui hanno preso coscienza della possibilità di usare la smisurata energia contenuta nell'Uranio per scopi bellici. E più in generale restituisce l'indeterminazione, questa forse la parola centrale di tutta l'opera, di uno scienziato davanti ad un dilemma morale tra i più inestricabili della storia.
Non solo, tutta la struttura e l'impianto dialettico sono un tentativo di applicare le teorie quantistiche di interazione tra le particelle e l'incertezza sulle misure all'interazione dialettica tra le persone. La difficoltà storica di ricostruire un breve dialogo così centrale per gli sviluppi finali della seconda guerra mondiale diventa quasi una prova che una ricostruzione storica accurata di un evento sia quasi impossibile. La sensazione è che lo scontro di idee, anche solo tra due persone, non sia ricostruibile in maniera oggettiva, anche sapendo le esatte parole pronunciate: queste non sono altro che uno dei possibili modi in cui i due pensieri scontrandosi sono collassati in una osservabile misurabile, il dialogo tra i due. Anche gli storici, ricostruendo le idee dietro a tale dialogo trovano valori che sono influenzati dall'osservatore, rendendo la ricostruzione non obiettiva.
Raramente ho riletto un libro non appena averlo finito, in questo caso spinto ad avere subito una seconda rilettura più approfondita, anche nell'ottica dell'ottimo post scriptum dell'autore.